domenica 15 marzo 2015

PAESAGGI E STORIA: intervista al regista NICOLA RAGONE



Ritorniamo a scrivere sul nostro blog dopo il successo della nostra iniziativa sul carnevale. Abbiamo incontrato e discusso con il regista Nicola Ragone su Salandra,il suo futuro, le sue risorse e le opportunità da sfruttare per scrivere una nuova storia e non lasciare questa comunità ad un destino segnato.

Nicola Ragone nasce a Tricarico (MT) nel 1986, sceneggiatore, regista teatrale e cinematografico. Laureato in Lettere e Filosofia all’Università “La Sapienza” di Roma, con una tesi triennale sul teatro di Giorgio Strehler e una tesi Magistrale dal titolo “La zona grigia. Voci dal Lager”. Si forma presso il “Cineteatro” di Roma, frequentando corsi di Regia e Scrittura Cinematografica, Direzione dell’attore e Regia Teatrale. Con altri suoi collaboratori fonda un’officina culturale chiamata “Fullframe”. Inoltre aderisce al movimento teatrale “Minimo Comune Teatro”.

Il paesaggio, i luoghi di Salandra, cosa potrebbero offrire da un punto di vista cinematografico?
Esistono posti in cui il tempo appare congelato, spazi che conservano caratteri ancestrali, in cui si ode solo la natura che vive e nient’altro.Volti bruni scavati e modellati come una scultura che viene continuamente scolpita, che si consuma, ma rimane sempre uguale.Riquadri mitici, animali liberi di agire nel proprio regno, terreno che respira, non soffocato dal cemento, suolo calpestabile, paesaggi illuminati da una penombra che nasconde il segreto della vita e dell’esistenza. Oasi felice, luogo del riparo, o del rifugio dalle falsità del mondo reale, dei ricordi, delle origini.
Atmosfera lontana dalla realtà quotidiana, paesaggio bucolico, paradiso terrestre e terreno, viaggio dentro se stessi...Il racconto di alcune emozioni, la descrizione visiva ed emotiva dei luoghi che ci appartengono; pensavo potesse essere giusto rispondere percorrendo stilisticamente questa strada. I nostri paesaggi custodiscono una forte potenzialità visiva. Girovagando nell’agro che circonda Salandra, sembra di giungere in una Monument Valley non scoperta. E’ l’icona, l’immagine di un mondo western, il nostro western, un orizzonte con regole proprie, un’isola lontana dalle frenesie metropolitane, luogo delle piccole cose, dei dettagli, spazio crepuscolare.Penso che il cinema possa scoprire, qui, un’immagine fortissima, netta, contrastata, metafora di sensazioni ed emozioni uniche, introvabili, senza tempo, lontane dalla realtà, che raccontano un quotidiano mai descritto, lontano dalla letteratura e dal contemporaneo.

 Riflettiamo sulla figura di Padre Serafino e sull'importanza di continuare a parlare del figlio migliore che Salandra abbia mai avuto anche dopo il tuo studio. Tu cosa ne pensi?

La lingua, le immagini, le figure retoriche presenti nello scritto di Serafino da Salandra risultano essere estremamente raffinate. Oltre alla profondità dell’opera, mi ha sorpreso la sua modernità. E’ un testo che riflette sulle dinamiche relazionali tra la figura maschile e la figura femminile: oggetto desiderato dal diavolo ammaliatore e soggetto tentatore nei confronti di un Adamo quasi inscalfibile. Un uomo che, di scena in scena, consuma la corazza della moralità, cedendo all’Eva serpentina mossa dal demonio. Un popolo che cade nel peccato, condannato alla ricerca del bene e della salvezza.E’ interessante la visione di Serafino, influenzata dal suo rapporto con la Chiesa dell’epoca, ma fortemente attuale proprio per i comportamenti e le psicologie delineate, per le allegorie, per i simboli costruiti. “Costruire un percorso” verso il regno utopico dell’equilibrio, questo l’invito che Serafino pone allo spettatore.
Lo studio che ho svolto punta ad una rappresentazione, o meglio ad un esperimento avanguardistico di questo concetto. Lo spettacolo non ha la presunzione di tradurre l’insegnamento di un testo così complesso, ha solo la volontà di mostrare al pubblico le immagini sensoriali di alcuni accadimenti. Assistere al racconto di un evento, dichiarandone la sua finzione, la sua messa in scena, questa l’intenzione. Distanziare il pubblico dall’immedesimazione per permettere uno scarto, una riflessione, una comprensione, cercando però di coinvolgere ogni individuo con il lavoro sulla luce, sulla moltiplicazione dell’immagine proiettata, sugli effetti sonori e sui corpi in movimento.

Creare nuove riflessioni, nuovi esperimenti, trarre insegnamento da una materia vastissima, un tesoro che ci appartiene, che ci appartiene in quanto esseri umani.

Continuare a parlarne, discuterne e puntare a divulgare quella che è una straordinaria indagine sull’animo umano.

 Per non concludere...

Raccogliendo le suddette riflessioni si potrebbe giungere alla costruzione di un binomio: luoghi – Serafino. Sarebbe interessante unire questi nostri tesori, cercando di render fertile un territorio che offre spazio alla creazione e alla suggestione, in modo diverso, sempre nuovo.

Energie diverse, stimoli, linfa vitale e necessaria per la nostra comunità.

 Questo il trailer di SONDERKOMMANDO
 https://www.youtube.com/watch?v=2GVAjTh8R3Q



Nicola Ragone approda alla scena teatrale proponendo adattamenti da testi classici e moderni. Mette in scena “Aspettando Vladimiro ed Estragone” (2009), ribaltando il testo di Beckett che racconta l’attesa nei confronti del misterioso Godot. Con la commedia “Un giudice” (2010), tratta da “La patente” di Pirandello, effettua numerose repliche nei teatri di Roma e del Lazio. In seguito si avvicina al teatro – danza firmando la regia dell’atto unico “L’asse di equilibrio” (2011). Con il progetto “Eyes”, si avvicina al simbolismo del testo “I ciechi”, di Maurice Maeterlink, proponendo uno studio sulla follia e sulla cecità. E’ un percorso in un manicomio abbandonato: spazio decadente che il pubblico esplora in modo attivo, potendo decidere il corso degli eventi. Un viaggio psichico, suddiviso in una trilogia di spettacoli itineranti: “Eyes - tragedia della vista” (2012), “Eyes – open space” (2013), “Eyes – empty space” (in preparazione). Il suo percorso giunge ad una sperimentazione visiva e scenica nella fiaba psichedelica “Studio sull’Adamo Caduto”, tratta dallo scritto di Serafino da Salandra. Una serie di proiezioni animate e create su una parete di tulle e  una performance di corpi nudi in uno spazio astratto, per raccontare la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso.

Al cinema, il suo esordio è il noir dal titolo “L’ultimo nastro” (2009). Di seguito dirige un episodio del lungometraggio “Quilty” (2010), scritto e diretto con altri 4 registi. “David Lazzaretti” (2011), è il cortometraggio in costume commissionato dall’Università “La Sapienza”, tratto dalla storia vera del predicatore di Arcidosso. Il suo terzo cortometraggio, “Oltreluomo” (2011), viene proiettato allo Short Film Corner del Festival di Cannes e in circa 35 festival, riscuotendo numerosi riconoscimenti. E’ il racconto di una tragedia avvenuta nel buio di una miniera nel 1881. Il tunnel soffocante e senza uscita diventa metafora esistenziale e simbolo della cecità umana.Inoltre partecipa, come aiuto-regia, alla realizzazione del documentario/backstage del film “Che strano chiamarsi Federico” (2013), diretto da Ettore Scola. Nello stesso film interpreta, come attore, il ruolo di Marcello Marchesi.Realizza la regia del video-demo per lo spettacolo “Partitura P” (2013), di e con Fabrizio Falco, disegno luci di Daniele Ciprì. Successivamente dirige il suo quarto cortometraggio dal titolo “Sonderkommando” (2014), affresco che racconta la nascita di un amore omosessuale in un campo di sterminio. L’opera viene ritenuta di interesse culturale nazionale e quindi  finanziata dal Ministero dei Beni Culturali.  La sceneggiatura è di Silvia Scola, mentre la fotografia, in pellicola 35mm, è firmata da Daniele Ciprì. Gli ambienti del campo di concentramento sono stati disegnati, progettati e ricostruiti all’interno dei teatri di posa dell’Augustus color, dall’Architetto Fabio Vitale.Nello stesso anno, firma la regia del cortometraggio  “La Riva”, progetto finanziato dalla Lucana Film Commission e prodotto da Arifa Film. La sperimentazione su spazi scenici non ortodossi, l’utilizzo narrativo della luce e dei contrasti, il training con gli attori basato sullo studio di materiali teorici e sul corpo, l’utilizzo di immagini-segno, rappresentano la sua cifra stilistica.




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